L’orso nell’immaginario
Il sottile confine tra mito e realtà
La presenza dell’orso nella cultura umana ha radici antichissime e ad essa sono legati rituali, miti, leggende e fiabe.
Da sempre l’orso ha suscitato l’immaginazione e la fantasia dell’uomo, che lo ha dipinto di volta in volta come una divinità, un eroe, un antenato, un seduttore, ma anche come una belva feroce, un demone o un tenero compagno dell’infanzia. Ripercorrere questa storia significa spesso perdersi in un dedalo di interpretazioni e metafore. Pertanto, anche la breve trattazione che segue ha il solo scopo di fornire immagini e suggestioni. Familiare e estraneo nello stesso tempo, l’orso forse è tra gli animali quello verso cui l’uomo ha manifestato maggiormente un atteggiamento contraddittorio. D’altronde, come non rimanere affascinati e allo stesso tempo turbati di fronte alla somiglianza, nel fisico e negli atteggiamenti, dell’orso con l’uomo stesso? O di fronte alla sua forza e resistenza fisica? Al profondo legame e all’affetto che una femmina di orso nutre per i propri figli?
Cranio di Ursus speleaeus collocato appositamente in posizione di rilievo nella grotta Chauvet – Pont d’Arc, Ardèche, Francia.
Nella mitologia greco-romana, in quella germanica e celtica, in tutto l’Occidente antico e medievale si ritrovano molte testimonianze di un culto dell’orso, con alcune suggestioni che giungono fin dalla Preistoria.
Le tracce più antiche di un legame tra l’uomo e l’orso risalgono probabilmente a circa 80.000 anni fa, nella grotta del Regourdou, in Francia, dove alcuni studiosi hanno rinvenuto una sepoltura neanderthaliana posta accanto a quella di un orso. A partire da circa 30.000 anni fa aumentano i ritrovamenti di allestimenti “sospetti”, situati all’interno di grotte condivise da uomini e orsi, nella forma di dipinti parietali di orsi o di crani collocati in disposizioni quasi liturgiche. L’orso aveva sicuramente un ruolo particolare nel bestiario paleolitico e forse, secondo alcuni autori, era addirittura oggetto di culto.
Nei miti dell’Antica Grecia, l’orso era considerato un attributo di alcune divinità. Un esempio è Artemide, la dea protettrice degli animali e della caccia, che viene rappresentata come orsa insieme alle sue sacerdotesse, soprannominate, a volte, “orsette”. Nella radice del suo stesso nome si ritrova la parola greca arktos, orso, appunto. Un mito che lega Artemide all’orso è quello della nascita della costellazione dell’Orsa maggiore. In una delle molteplici versioni, si narra che Artemide, infuriata con la ninfa Callisto per averla tradita, l’avesse trasformata in una orsa e che le avesse lanciato dietro i suoi cani da caccia. Il dio Zeus, impietosito, decise di salvarla e la trasforma nella costellazione.
Il mito di Callisto: Arcas tende l’arco contro la madre trasformata in orso. Incisione di Hendrick Goltzius e Franco Estius, 1590.
Oltre ad Artemide, nella mitologia greca, si ritrovano anche numerosi miti di orsi femmina che nutrono e allevano neonati che, una volta divenuti adulti, saranno eroi. Un esempio fra tanti, è quello di Paride, figlio di Priamo, re di Troia. Il mito narra che la madre di Paride, prima della sua nascita, avesse sognato la futura distruzione della città di Troia. Il padre, sconvolto dalla premonizione, ordinò ai suoi servitori di ucciderlo sul monte Ida. I servitori non ne ebbero il coraggio e lo abbandonarono sul monte. Un’orsa lo trovò e lo salvò dal gelo e dalla fame, fino a quando dei pastori non lo trovarono e lo presero con sé.
Tra gli antichi popoli germanici, che a partire dal XIX secolo a.C. si diffusero dalla Scandinavia in gran parte dell’Europa, l’orso era considerato un emblema di forza, coraggio e di invincibilità: l’animale totemico per eccellenza. Era il re degli animali e della foresta, una divinità o comunque una creatura a metà strada tra il mondo degli uomini e quello degli dei, un antenato e soprattutto un guerriero. In segno di rispetto, l’orso non poteva essere chiamato con il nome proprio, ma solo interpellato con formule lessicali alternative. I guerrieri indossavano amuleti fatti di denti ed artigli e pelli di orso per acquisirne la forza e il coraggio. Lottare contro un orso a mani nude rappresentava una prova di coraggio che consentiva ad un ragazzo di diventare adulto e la considerazione di un grande guerriero. Tra i più famosi guerrieri, ci sono i soldati di Odino, i Bersekir, definiti anche “orsi mannari”, che bevevano e mangiavano la carne di questo animale e combattevano imitando l’andatura e i versi dell’orso. Tali guerrieri godevano dunque dell’abilità di “trasformarsi” in orsi, ovvero potevano entrare in una condizione di “orsitudine”.
Matrice da pressa vichinga utilizzata nella fabbricazione delle piastre da elmo. In essa è rappresentato un guerriero che danza accompagnato da una figura a metà tra uomo e lupo. Negli antichi popoli germanici ai guerrieri spesso venivano attribuite caratteristiche ursine o di altri predatori.
Nei popoli celtici, tra il V e il III secolo a.C diffusi in un’ampia area dell’Europa, dalle Isole britanniche fino al bacino del Danubio, l’orso era simbolo di potere, sovranità e regalità. Molti sovrani vantavano antenati dalle fattezze orsine, o sostenevano di essere stati allevati da orsi. Alcuni diventavano re soltanto dopo avere combattuto contro un orso. In tutti i casi era il legame con l’orso che rendeva un uomo degno di essere re. Tra i più noti ricordiamo Artù, che una leggenda descrive, in fin di morte, in grado di uccidere un uomo anche con un semplice abbraccio.
Nel mondo romano, l’orso rientrava in una dimensione più selvatica: era essenzialmente un animale oggetto di caccia (fino ad arrivare anche a dei veri propri massacri) e oggetto di spettacolo nei giochi del circo, nelle cacce e nei combattimenti con i gladiatori. La caccia all’orso era privilegio soprattutto degli imperatori e del loro seguito, e in segno di rispetto, ma anche di prestigio, veniva condotta quasi sempre corpo a corpo. Anche essere in possesso di un orso era attributo di potere: soltanto un imperatore poteva avere un serraglio con degli orsi. La pratica dei serragli si è mantenuta per tutto il Medioevo, sempre come privilegio di principi, grandi signori laici e ecclesiastici. Inoltre, il dono di un orso era spesso utilizzato come segno di pace o di rispetto tra sovrani.
Bassorilievo romano raffigurante una scena di caccia all’orso con lancia e segugi, conservato nel Palazzo Tabassi, Sulmona, provincia di L’Aquila.
La somiglianza con l’uomo nel fisico e nei comportamenti è stata ragione di culto e adorazione, ma anche di condanna e persecuzione.
La mitologia greca, celtica e germanica vedeva l’orso anche come un amante di fanciulle e giovani donne, con storie che oscillavano tra il romantico ed il violento, sotto forma più spesso di ratti che di incontri amorosi. Le credenze che raccontavano di questa forte attrazione tra donne, regine e la belva si diffusero in Europa in tutto il Medioevo. Esse giocavano molto sull’ambiguità di alcuni personaggi storici, come re Artù o Tristano, il re innamorato, considerati metà uomini e metà orsi. D’altronde, nelle fasi di corteggiamento e accoppiamento uomini e orsi si assomigliano, e si credeva che potessero tra loro anche procreare. Miti e leggende di questo genere si diffusero anche in Italia. Una leggenda narra che la nobile famiglia Orsini, che ha dato i natali a molti papi e cardinali, avesse avuto origine proprio da rapporto tra un uomo e un orso. L’orso divenne anche simbolo di desiderio brutale, e “fare l’orso” assunse in molte festività, dai lupercali Romani fino alle feste medioevali associate al carnevale e ai solstizi, il significato di lasciarsi andare ad atti trasgressivi e “abominevoli”, come saranno poi descritti dalla Chiesa.
Fu proprio la Chiesa cristiana altomedievale, in epoca Carolingia, a dichiarare guerra all’orso, con l’obiettivo di distruggere qualsiasi forma di cultura pagana, considerata nemica di Cristo. L’orso venne perseguitato fisicamente e massacrato in molte regioni d’Europa e eradicato assieme ai culti pagani. Tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo, l’orso venne demonizzato e reso una creatura infernale e addirittura un abominio in cui la natura umana si confondeva con quella animale, e quindi un affronto a Dio che aveva creato gli uomini a sua somiglianza. L’epiteto“bruno” dell’orso perse qualsiasi connotato reale e nel bestiario medievale assunse il connotato di una creatura demoniaca scura, sporca, pelosa e ispida. L’orso divenne anche oggetto di derisione e messo in ridicolo nelle favole e nei proverbi, in cui l’uomo lo dipinse come una creatura viziosa e peccaminosa. Sono ben 7 i peccati capitali che venivano attribuiti all’orso: superbia, avarizia, lussuria, ira, gola, invidia e accidia.
Incisione del XIII secolo raffigurante uno spettacolo con orso e scimmie ammaestrate, tratta dal “Dictionnaire historique et pittoresque du théâtre [..] di Arthur Pougin (1834-1921).
Quando alle figure dei guerrieri si sostituirono quelle dei santi, questi furono considerati i soli in grado di cristianizzare e redimere gli orsi. Una leggenda narra che San Fiorenzo di Samour convinse un orso a fare la guardia ad un gregge o che San Romedio addomesticò l’orso che aveva ucciso il suo cavallo per poter arrivare a Trento a trovare l’amico vescovo.
La lunga guerra contro l’orso continuò con la modifica e trasformazione dei calendari e delle festività pagane (di cui molte erano incentrate sull’orso) in feste cristiane. Nel Duecento, l’orso venne detronizzato dall’araldica e sostituito con il leone. Finì così per perdere il suo attributo regale e essere relegato a animale selvaggio o a oggetto di spettacolo nelle piazze, dove, munito di museruola, veniva fatto danzare o compiere acrobazie come un giullare.
Tuttavia l’orso non scomparve mai dall’immaginario e dai sogni degli uomini. Dal XIV secolo in poi tornarono in auge le leggende romantiche di orsi che rapiscono le fanciulle. Pian piano l’orso rientrò nel mondo delle fiabe con il tema della bella e della bestia, anche se in molte favole era ancora ancora ridicolizzato e dipinto come una belva ignorante, malinconica, pigra, stupida o golosa. Dalla Scandinavia al Mediterraneo, esiste un campo sconfinato di storie romantiche sul tema del rapporto fra una donna ed un orso e su quello dei bambini nati da questa unione. Questi racconti sono popolati da bambini dalle fattezze quasi umane, tranne per il fatto di avere una folta peluria, una zampa d’orso o la capacità di parlare un linguaggio orsino. Esiste ancora, tutt’oggi, chi si vanta di appartenere ad un clan di orsi e di avere avuto come antenato un Jean-de-l’ours, un John the Bear o un Gianni Orsino.
In epoca moderna, gli orsi hanno una rivincita e diventano tra i giocattoli preferiti dei bambini, sebbene allo stesso tempo siano marginalizzati dal mondo degli uomini.
Un bimbo addormentato tiene stretto il suo orsetto di peluche.
Con il tempo, anche in seguito alla sua persecuzione fisica e intellettuale, l’orso divenne un animale sempre più lontano, invisibile, relegato nelle montagne e nei Parchi Nazionali, visibile direttamente solo nei musei, negli zoo o nei circhi. Contemporaneamente entrò però da protagonista nel mondo dell’infanzia, grazie alla passione per la caccia del presidente degli Stati Uniti Theodore Roosevelt (1858-1919). Tutto ebbe inizio quando il presidente decise di risparmiare un cucciolo di orso nero durante una battuta di caccia, evento che viaggiò su tutti i rotocalchi dell’epoca. L’onda mediatica spinse alla creazione di un pupazzo in ricordo dell’episodio: ecco arrivato il Teddy Bear. A partire dal XX secolo, quindi, esplode la passione per l’orso come tenero compagno dell’infanzia. Da allora i morbidi orsacchiotti non solo iniziarono a popolare le stanze dei bambini, ma incominciarono a fare parte dei cartoni animati, delle pubblicità e dei nostri libri. Dall’altra parte, secondo alcuni autori, fu proprio questo processo, parallelamente all’industrializzazione, ad avere contribuito a marginalizzare sempre più gli animali, togliendoli definitivamente dalla nostra vita quotidiana. Infatti, la forte spinta dell’industrializzazione e dello spopolamento delle campagne portarono con il tempo alla disgregazione delle vecchie comunità rurali e all’abbandono delle loro antiche pratiche e dei loro cicli produttivi, e quindi anche di un legame diretto tra uomo e mondo naturale. Gli animali sono stati ridotti a giocattoli zoomorfi, a figure e a cartoni animati, come nella Disney, in cui gli orsi diventano sinonimo degli uomini, non più una rappresentazione delle loro origini: vestono i loro abiti e perdono la loro selvaticità. Ai giorni d’oggi, gli animali reali esistono ancora, ma vivono in posti lontani, o artificiali, come appunto i musei, gli zoo, il cinema e la TV. Tra uomo e Natura è nata una frattura, sono due mondi non più prossimi. La Natura è lontana, un posto idealizzato da ricercare, e per questo reso ancora più distante e estraneo.
L’orso, soprattutto nelle culture rurali, è da sempre simbolo del ciclo del tempo, del passare delle stagioni, della morte e della rinascita e parte integrante di molte festività pagane, che talvolta vengono ancora messe in scena.
Anche in Italia un’eco del culto dell’orso è ancora presente in molte festività, che hanno conservato dei tratti pagani nel ricordo o nel rituale. Nell’antichità, ma con tracce ancora evidenti ai giorni di oggi, esisteva un vero e proprio calendario dell’orso. Un esempio è la festa di San Martino dell’11 Novembre. Questa festività coincide con la nascita del Santo, noto per avere soggiogato a rango di mulo un orso. Tuttavia in quella stessa data i contadini festeggiavano un tempo il momento in cui l’orso cominciava a percepire l’arrivo dell’inverno e si ritirava nella tana per due periodi di quaranta giorni. Nella cultura agricola, era anche il momento di riportare il bestiame in stalla e mettere a riposo gli utensili. Questo evento era celebrato con feste e riti violenti, trasgressivi e mascherati, che furono poi abbandonati. E questo successe per molte altre feste autunnali che vennero associate a santi che avevamo domato orsi o che avevano la parola orso nel proprio nome.
Un altro esempio è il 2 Febbraio, giorno detto anche della Candelora. In questa data, i cristiani celebrano la presentazione di Maria al tempio, quaranta giorni dopo la nascita di Gesù. Ma questa festività ha delle radici molto più antiche. Secondo la tradizione dell’Europa medievale alpina, ma non solo, nella notte tra il primo e il due di Febbraio, l’orso si risveglia dal suo letargo invernale ed osserva il cielo. Se lo trova “chiaro”, rientra nel suo giaciglio, perché l’inverno durerà ancora quaranta giorni. Se invece il cielo è “scuro”, allora l’orso uscirà dal suo riparo ad annunciare l’inizio della primavera. Ciò serviva al contadino per ricordare, di anno in anno, come interpretare la posizione della luna e quindi sapere se sarebbe stata un’annata favorevole (Pasqua alta) o negativa (Pasqua bassa). In Valle D’Aosta si narra che il primo Febbraio, festa di Sant’Orso, se il tempo è bello l’orso mette ad essiccare la paglia e il fieno che gli serviranno da giaciglio, nella certezza che l’inverno durerà ancora quaranta giorni. Un tempo, anche queste feste erano accompagnate da danze e giochi sfrenati, che rappresentano rapimenti e stupri da parte di uomini mascherati da orsi.
La maschera dell’uomo cervo, Gl’ Cierv’, rito carnevalesco di Castelnuovo al Volturno, in provincia di Isernia. Nel folklore di molte regioni italiane, durante il carnevale, sono molto diffuse figure mascherate dall’aspetto feroce e selvaggio, assimilabili a animali nell’aspetto e nelle movenze, tra cui anche l’orso.
Ma le feste non si concludevano ai primi di Febbraio. Continuavano fino alla metà del mese, con il Carnevale, di cui l’orso, in alcune zone dell’arco Alpino e del Centro-sud, è tra i personaggi principali. Nel passato, in alcune regioni, un orso vero ammaestrato veniva portato in giro e fatto ballare da un domatore nelle piazze dei paesi. In seguito, per mantenere la tradizione, l’orso è stato sostituito da una persona mascherata che, alla fine dei rituali, veniva, in genere, addomesticata. La credenza voleva che, con l’uscita dalla tana, e quindi dalle profondità della terra, l’orso risorgesse, facendo affiorare con sé anche i morti, che entravano durante il Carnevale nella vita quotidiana delle persone. Ed ecco l’origine delle feste e dei riti. Per comunicare con i morti occorreva diventare, almeno temporaneamente, uno di essi e comportarsi come tale (aggredire, spaventare, toccare, rapire, essere folli). Per questo molte di queste feste hanno ancora un cerimoniale e rituali molto forti e violenti: una via per esorcizzare la morte.
Gli uomini e gli orsi hanno avuto una lunga storia di prossimità e identificazione, i cui contorni sfumano nei millenni.