Amori e corteggiamenti

La vita amorosa degli orsi è una saga cavalleresca fatta di passione, intrigo, violenza e lieto fine

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Agli inizi di aprile, quando le prime foglie iniziano a spuntare sugli alberi, gli orsi danno lentamente il via ai loro annuali riti amorosi, che sono una via di mezzo tra una danza e una gara podistica.

Questo è solo il preludio alla stagione dei corteggiamenti, che in realtà proseguirà fino alla fine di luglio, con maggio e giugno i mesi più febbrili. Già a partire dalle settimane precedenti i maschi hanno iniziato a ristabilire i ranghi gerarchici per contendersi l’accesso alle aree di accoppiamento, che sono le stesse ogni anno. Si tratta di zone particolarmente ricche di cibo a primavera, dove le femmine non accompagnate da prole e i loro pretendenti tendono ad aggregarsi in questo periodo e dove le opportunità di incontro tra i due sessi ovviamente aumentano. Terminata la stagione riproduttiva, sarà soltanto il cibo a suscitare interesse negli orsi. Sono molto rare le osservazioni di accoppiamenti nei mesi successivi, e ancora di più se coinvolgono femmine che hanno al seguito piccoli dell’anno.

Il 3 Novembre del 2010, i guardiaparco Ezechia Trella e Germano Palozzi hanno assistito ad una scena che ha lasciato interdetto più di uno studioso. I due raccontano, ancora con incredulità:

Alle prime luci dell’alba, una femmina con il piccolo dell’anno si stava alimentando di erba e ghianda caduta a terra in una radura al limite del bosco. Quando i due orsi si sono messi in allerta, ci siamo accorti della presenza di un maschio a meno di 50 metri da loro. Non appena questo si è avvicinato, il cucciolo è fuggito. Poi, la madre e il maschio hanno iniziato ad annusarsi, a lottare giocosamente e alla fine si sono accoppiati. Dopo circa 10 minuti di interazione, la femmina si è allontana nella direzione di fuga del piccolo. Il maschio poteva essere il padre del piccolo? Chi può saperlo?

3 novembre 2020

Una coppia di orsi si muove in un’arena di accoppiamento.
Queste sono solitamente zone particolarmente ricche di cibo, frequentate da diversi orsi anno dopo anno.

Gli orsi sono poligami e promiscui, ovvero un maschio può accoppiarsi e fecondare più femmine, così come una femmina può riprodursi con più maschi. Ma le strategie variano tra i generi.

Le femmine sono molto più selettive nella scelta del compagno, mentre i maschi puntano solo alla quantità. Durante una singola stagione riproduttiva, una femmina può entrare in estro anche 2-3 volte. Ma è una fase che dura poco. Alle latitudini in cui ci troviamo, l’attività follicolare delle femmine di orso, che è quella che precede l’estro, diminuisce drasticamente a partire dalla fine di luglio, fatta esclusione, come visto, di rarissimi estri autunnali. La cosa sorprendente è che le femmine di orso si riproducono “a comando”. E’ la stimolazione tattile della cervice da parte dei genitali del maschio a innescare una risposta neuronale e endocrina (e quindi la secrezione di ormoni specifici) che induce l’ovulazione. Pertanto, evitando un contatto fisico con il maschio o assumendo una postura che impedisca di completare l’atto sessuale, le femmine possono scegliere di non venire fecondate. Oppure, le femmine possono evitare del tutto i maschi, come si verifica ad esempio quando una femmina è in allattamento. Come vedremo più avanti, inoltre, oltre ad aspetti fisiologici, nelle femmine possono entrare in gioco anche aspetti sociali ad inibire la riproduzione. D’altronde, pur essendosi accoppiate, non tutte le femmine riescono a portare avanti la gravidanza fino all’anno successivo, ma questo dipende non solo dalla posizione di copula, ma anche dallo stato di salute della femmina. I maschi invece godono di un’attività sessuale più continua e sebbene la loro funzione testicolare subisca un calo dopo la stagione degli “amori”, l’orso è ancora in grado di fecondare una femmina grazie all’accumulo di sperma. Ciò garantisce un’opportunità ai maschi meno competitivi per tentare di accoppiarsi in periodi meno intensi.

Finito il letargo, il principale scopo dei maschi è quello di ristabilire le gerarchie ed impedire ad eventuali rivali di riprodursi, “sequestrando” il maggiore numero di femmine possibili. Un maschio alla ricerca di una compagna attraversa in lungo e il largo il proprio territorio, utilizzando il suo olfatto sviluppatissimo.

Maschi e femmine eseguono un vero e proprio rituale che può durare da dieci giorni a diverse settimane, durante le quali la coppia rimane associata giorno e notte. Per gli orsi maschi il corteggiamento è un gioco di seduzione lungo ed estenuante.

Durante il periodo in cui un maschio si associa ad una femmina, questa rimane comunque ricettiva nei confronti di altri maschi. Perciò il maschio non deve mai lasciarla incustodita, dato che può sempre esserci un altro pretendente in agguato. Talvolta, infatti, capita di osservare anche più maschi camminare in fila indiana dietro una femmina, così come più femmine seguite da un singolo maschio. È per questo che i maschi attuano un vero e proprio “sequestro” della femmina, della quale annusano i genitali per verificare la presenza di feromoni che ne indichino l’estro. La femmina, a sua volta, mette continuamente alla prova il vigore e la resistenza del maschio. Nella maggior parte dei casi, sono le femmine a condurre il gioco: possono essere molto selettive non solo nella scelta del compagno, ma anche nei luoghi e nei tempi dell’accoppiamento.

I maschi rinunciano quasi ad alimentarsi in questo periodo e continuano a diminuire di peso per non perdere mai di vista le femmine, per difenderle da altri corteggiatori e per difendersi anche da loro. Una femmina non consenziente può rivelarsi davvero aggressiva. Se non è d’accordo, un’orsa si siede sui glutei, si allontana dal maschio, emette dei profondi e minacciosi ringhi o addirittura può attaccare il pretendente. Se non ci sono competitori in vista e il maschio rientra invece tra i suoi favoriti, la femmina si sottomette e si abbandona a lunghi preliminari prima di concedersi del tutto. In genere, la femmina rimane in piedi o scivola sotto il maschio, mentre quest’ultimo le morde le zampe posteriori o il collo. Se il maschio è lento o mostra poco interesse, la femmina si libera emettendo dei ringhi profondi e sbattendo i denti. A questo punto il maschio l’afferra con le zampe e cerca di morderla. La femmina risponde strofinandosi con il muso sul maschio e mordendolo a sua volta e i due ingaggiano una lotta giocosa. In genere questo comportamento convince il maschio ed è seguito dalla copula.

L’accoppiamento può durare da pochi minuti ad un’ora, tutto dipende dalla disponibilità della femmina e dalla presenza o meno di altri maschi sulla scena. Una lunga copula aumenta le probabilità per un maschio di diventare padre.

“Nel controluce di un pomeriggio di fine maggio, i profili di due orsi sono apparsi all’improvviso, nitidi e luminosi, emergendo dal bosco in ombra. Una femmina dalla pelliccia argentata era seguita da un maschio scuro e molto grande, quasi il doppio di lei. Non riuscivamo a credere alla nostra fortuna. Più per caso che per volontà, eravamo lì quel giorno. Ci trovavamo per giunta in posizione privilegiata, su una cresta rocciosa a circa duecento metri di distanza dagli orsi; il vento ci soffiava contro, portando via il nostro odore. Ci siamo seduti, la schiena contro un masso, rimanendo immobili ed in silenzio. E così, per oltre due ore, siamo stati partecipi, non visti, dei momenti di intimità di quella coppia. Abbiamo assistito alla danza ipnotica dei due animali che si seguivano, camminando a zig-zag sul pendio erboso. Il maschio sempre dietro la femmina, lento e affannato. In più occasioni, questi aveva tentato di avvicinarla, quasi timidamente, ma l’orsa gli aveva risposto mostrandogli i denti. Si erano affrontati con veemenza, mordendosi sul muso e ringhiando. I loro versi facevano drizzare i peli sulla schiena. Infine la femmina si è fermata e ha lasciato che il maschio le si affiancasse. Dopo tanta attesa, i due si sono accoppiati, annusandosi delicatamente, naso a naso, e strofinando le teste, con una tenerezza inaspettata e ignari dei due testimoni importuni, commossi di fronte a quello spettacolo raro e primordiale. Paghi di quell’osservazione irripetibile, ci siamo allontanati rapidamente e in silenzio, lasciando agli orsi la loro privacy e la quiete della notte.”

Bruno

I maschi più abili e aggressivi e, spesso, di maggiori dimensioni sono in genere i partiti migliori.

Ma quali sono le tattiche usate dai maschi? Chi di loro riesce a sedurre più femmine? Sono gli orsi dalla massima prestanza, solitamente raggiunta dopo i 10 anni di vita, quelli che riescono a controllare la compagna, prevenendo così l’accoppiamento da parte di altri maschi o perlomeno ritardando un suo ulteriore accoppiamento. Questo controllo è esercitato scacciando aggressivamente altri maschi o attraverso copule prolungate che impediscono fisicamente ad altri maschi di accedere alla femmina. Ma la competizione non si arresta solo all’atto della copula. Quando una femmina si accoppia con molti maschi, sono addirittura gli spermatozoi degli orsi rivali ad entrare in competizione, gareggiando per numero e abilità nel raggiungere e penetrare le uova disponibili. Se ciò non bastasse, le femmine sembrerebbero in grado di utilizzare un meccanismo sorprendente di controllo durante la copula e, in ultimo, decidere chi sarà il padre dei loro piccoli. I maschi lottano ferocemente per riprodursi e, quando capita di osservare da vicino degli esemplari, non è raro notare ferite e cicatrici sulla testa lasciate dai morsi dei rivali. I maschi sono comunque in grado di imporre la propria dominanza anche in maniera più ritualizzata, sebbene non meno efficace.

“È metà maggio. Sì fatica a respirare mentre arriviamo al punto di osservazione previsto: l’aria è densa e calda. E’ strano, ma le stagioni sono imprevedibili qui tra le montagne abruzzesi. Un paio di chilometri più avanti, si stagliano le cime inverdite dalle praterie di alta quota. Il primo rigoglio primaverile. E’ l’abbaio di un capriolo che cattura la nostra attenzione verso il margine del bosco sottostante la prima cima. Dopo pochi secondi, un orso emerge dalla vegetazione. Dietro di lui, a circa 50 metri di distanza, avanza con sicurezza un secondo orso, decisamente più imponente del primo. Lo riconosciamo dalle marche, è il maschio M18. Il giovane avanza a bocca aperta e muove vistosamente il torace, in affanno. Si ferma più volte, si volta e riprende ad avanzare, accelerando ogni volta. M18 non perde un passo dietro di lui. Il pedinamento prosegue fino a quando il giovane si rifugia su una roccia, sospeso sul vuoto. A questo punto M18 si ferma, per poi riprendere a muoversi, come un pendolo, avanti e indietro davanti al giovane, lasciando ogni volta l’impressione di volersi allontanare, per poi tornare sui suoi passi. L’altro orso, che dal comportamento sembra essere un maschio subordinato, è ormai accasciato a terra, sempre in affanno. Dopo quasi tre ore di pedinamento e intimidazione, M18 si ferma nei pressi di una roccia, si alza sulle zampe posteriori e si mostra in tutta la sua altezza grattandosi. Dopo questa prova di dominanza, si allontana definitivamente. Quando abbiamo interrotto l’osservazione, essendo ormai buio, il giovane maschio era ancora a terra.”

Elisabetta

Un grosso orso maschio, nel pieno periodo riproduttivo, viene ripreso da una fototrappola mentre attraversa una faggeta, probabilmente sulle tracce di una femmina. Sulla testa si notano i segni lasciati dai combattimenti con altri maschi.

Dopo l’accoppiamento, se non ci sono ostacoli, l’uovo viene fecondato e si sviluppa in una piccola massa di cellule arrotondata, detta blastocisti. A questo punto, però, il normale sviluppo si arresta.

Negli orsi si verifica un fenomeno noto come “diapausa embrionale” e lo si osserva nei mustelidi (lontre, martore, ermellini, tassi ecc.), in molte specie di foche, nei marsupiali, nei topi e ratti ed anche nel capriolo. Dopo la fecondazione, la blastocisti rimane inattiva nell’utero della femmina fino al suo ingresso in tana, che coincide con l’inizio della fase letargica. Lo sviluppo dell’embrione riprende soltanto quando ci sono le migliori condizioni per fare sopravvivere i cuccioli. Nel caso dell’orso è il periodo del torpore invernale il momento giusto, al sicuro dai predatori. E’ la diminuzione del fotoperiodo, cioè del numero di ore di luce tipico di inizio inverno, ad innescare nelle orse la produzione di una cascata di ormoni che stimolano la mucosa uterina ad accogliere l’embrione. Ma se la femmina non ha abbastanza riserve di grasso o non è in buono stato di salute, questa cascata di effetti si interrompe e la gravidanza non viene portata a termine. Il fatto che dopo la fecondazione l’embrione entri in diapausa fa sì che la femmina possa tornare nuovamente in estro. Ne consegue che una femmina può accogliere nel suo utero più uova fecondate e, e, dato che una femmina si può accoppiare con più maschi nella stessa stagione riproduttiva, è probabile che una stessa cucciolata possa originare da più padri. Questa è una strategia efficace per aumentare la qualità e variabilità del patrimonio genetico della prole, ma anche, come leggeremo più avanti, per proteggere i piccoli da un’eventuale aggressione dei maschi.

In Appennino le femmine si riproducono ogni 3-4 anni. Intervalli più brevi sono stati osservati soltanto in caso di perdita dei cuccioli da parte della femmina oppure a seguito di annate di abbondanza di frutti del faggio.

Per alcune femmine adulte della popolazione appenninica non è mai stato possibile accertare un successo riproduttivo, anche nell’arco di dieci anni consecutivi di osservazioni. Tra l’altro, nonostante i cuccioli si allontanino dalla madre molto presto, ovvero nella loro seconda primavera di vita, le femmine rimaste sole, anche se osservate accoppiarsi, non sono mai state osservate accompagnate da prole l’anno successivo. La femmina F05 è stata una delle prime femmine studiate dai ricercatori. Nell’anno della sua cattura era già madre e negli anni successivi ha messo al mondo ben 8 cuccioli. F05 è stata una madre molto protettiva ed riuscita a fare sopravvivere l’88% dei suoi cuccioli fino ad 1 anno e mezzo di vita. Se vuoi conoscere la sua storia in dettaglio prosegui la lettura.

La femmina F05 è stata seguita con la telemetria e osservazioni dirette per molti anni e la sua storia è rappresentativa di molte orse dell’Appennino.

Tra gli 8 e i 25 anni di età, le femmine sono al massimo delle proprie capacità riproduttive. Poi la loro fertilità inizia a diminuire rapidamente. Le orse sono in grado di riprodursi già a 3,5 anni di età, sebbene in popolazioni numerose, come quella dell’Appennino Centrale che raggiunge nella sua area centrale di presenza una densità di 4 orsi ogni 100 km2, entrano in gioco diversi meccanismi regolatori, che possono far slittare il primo parto anche a 6 anni di vita e oltre. La presenza della madre, ad esempio, può agire da contraccettivo naturale per le figlie. Secondo meccanismi non ancora del tutto noti, essa sarebbe in grado di impedire loro di riprodursi. Tra gli orsi femmine vige infatti la regola del matriarcato, dal momento che le giovani femmine sono filopatriche, cioè molto legate al luogo di nascita, e tendono quindi a ricavare i propri territori all’interno o nei pressi di quello della madre. I ricercatori, combinando tecniche genetiche e radio-telemetriche, sono riusciti a dimostrare che femmine “vicine di casa” competono tra di loro per riprodursi. Le orse più basse di rango devono attendere il proprio turno per diventare madri. Questo può avvenire anche dopo diversi anni dal raggiungimento dell’età adulta. Una regola che può sembrare dura, ma che serve agli animali per spartirsi in maniera conveniente le risorse alimentari e ridurre così un possibile stress tra gli individui.

Riprodursi non è affatto scontato per un orso. E, in una popolazione piccola e minacciata, come quella dell’Appennino, ogni femmina che riesce a mettere al mondo dei cuccioli tiene accesa la speranza per il futuro.

Una femmina con i suoi tre cuccioli si muove con cautela mentre attraversa un pendio montano, annusando continuamente l’odore di un altro orso (fuori dell’inquadratura) che si muove poco più su lungo il pendio.

L’incontro tra un maschio e una femmina

Nella primavera del 2007 la femmina F05 era ancora associata al suo piccolo di un 1 anno e mezzo quando viene raggiunta dal maschio M06. Di fronte all’insistenza del maschio e alla arrendevolezza della femmina, per il giovane è iniziato il tempo di mettere in pratica tutte le proprie abilità per sopravvivere da solo. Se vuoi conoscere tutta la storia, scorri i mesi.

I maschi e le femmine utilizzano differenti modi per massimizzare il loro successo riproduttivo. Tuttavia, non sempre ciò che è vantaggioso per un genere può esserlo anche per l’altro.

Fin quando una femmina si accompagna alla sua prole, essa non è ricettiva. I cuccioli rimangono con la madre per due inverni, poi, tra aprile e maggio, cioè durante il periodo riproduttivo, quando essi hanno circa un anno e mezzo di vita, la madre li allontana. Intervalli così brevi sono stati osservati in popolazioni di orso bruno in Nord Europa e raramente in Nord America, dove la femmina può rimanere associata ai cuccioli anche per 3,5 anni. Nelle aree montuose dell’Asia meridionale, più povere di risorse alimentari, i cuccioli possono rimanere con la madre anche per 4,5 anni. Tuttavia, per un maschio attendere 3 o più anni per riprodursi di nuovo può essere troppo. Per ottenere ciò che vogliono, quindi, i maschi conoscono uno stratagemma piuttosto sbrigativo, l’infanticidio: uccidere i piccoli della femmina per renderla subito ricettiva, cosa che può avvenire anche pochi giorni dopo il “delitto”. Dopo questo evento traumatico, le femmine modificano il proprio comportamento. Se prima, con i loro piccoli, esse erano sedentarie e elusive, dopo pochi giorni dalla perdita queste riprendono a muoversi come le altre femmine. Da una ricerca condotta in Svezia è emerso che il 90% delle femmine colpite da infanticidio durante la stagione riproduttiva si sono riprodotte con successo la primavera successiva. L’infanticidio sembra quindi una tecnica efficace, ma affinché possa dare i suoi frutti, ogni maschio deve assicurarsi innanzitutto di non uccidere la propria prole e poi di riuscire a fecondare con successo la femmina. Basandosi su tecniche genetiche, i ricercatori svedesi hanno confermato che i maschi in qualche modo sanno riconoscere le femmine con cui si sono accoppiati la stagione precedente, forse annusando la femmina i cuccioli, e che, nel caso di infanticidio, essi pazientemente seguono le loro “vittime” aspettando che queste entrino in estro, assicurandosi così una nuova paternità.

Il ricercatore Andreas Zedrosser, del Dipartimento di Scienze Naturali e Salute Ambientale dell’Università di South-Eastern Norway, racconta i risultati delle ricerche condotte sulle strategie riproduttive degli orsi in Nord Europa.

Le femmine, ovviamente, non accettano con passività che i loro piccoli vengano uccisi. Le orse sono proverbialmente molto protettive e suscettibili; difendono a tutti i costi la loro prole e le aggressioni da parte dei maschi talvolta possono concludersi con il peggiore degli esiti, ovvero con la morte di una madre che tenta di proteggere i suoi piccoli. Così, per ridurre al minimo il rischio di infanticidio, le femmine mettono in atto una loro contro-strategia. La più semplice e efficace ovviamente è quella di evitare le zone frequentate dai maschi durante la stagione degli amori, muoversi meno oppure scegliere delle aree “scudo” dove sia più difficile incontrare un maschio. Alcune ricerche condotte in Nord Europa riportano che, come fanno le prede per evitare un predatore, anche le femmine di orso scelgono deliberatamente a primavera aree ai margini di centri abitati, cioè a 1-2 km di distanza, in genere poco frequentate dai maschi notoriamente più schivi nei confronti dell’uomo, oppure aree marginali e isolate, anche se più povere di risorse alimentari. Le femmine possono anche scegliere di investire più nella sicurezza dei loro piccoli che nella disponibilità di cibo, aspettando di recuperare energie in estate e autunno. L’altra loro strategia è quella di confondere i potenziali padri. Basandosi su dati telemetrici e genetici, si è visto che le femmine scelgono di accoppiarsi con tutti i maschi vicini, così che ognuno di essi sia convinto di essere il padre dei piccoli che nasceranno la stagione successiva. La cosa sorprendente è che, nonostante la promiscuità, è sempre il maschio più possente e con il patrimonio genetico migliore a garantire la trasmissione dei propri geni.

Un caso di infanticidio in Appennino

A fine agosto 2006, i ricercatori osservano una femmina con due cuccioli alla ricerca di bacche di ramno su un ghiaione in alta quota. Nello stesso periodo altri tre orsi frequentavano con regolarità lo stesso ramneto, tra cui sicuramente un maschio adulto. Il 2 settembre dello stesso anno, al tramonto, il gruppo familiare viene osservato ancora al completo. Ma il giorno successivo, i guardiaparco in servizio vedono una femmina con un solo piccolo. Passa ancora un giorno e, all’alba non si osserva più alcun orso nel ramneto, ma controllando con il cannocchiale il margine nel bosco, i guardaparco intravedono due piccole sagome scomposte nell’erba. A seguito del sopralluogo, sono rinvenuti i corpi inermi dei due cuccioli con le ossa fratturate; tutto attorno rami spezzati e segni di unghiate sui tronchi. Perché uccidere i cuccioli fuori stagione? Forse, a detta di alcuni studiosi, per tentare di accoppiarsi o in alternativa come investimento per la successiva stagione riproduttiva.

I maschi stabiliscono delle gerarchie durante la stagione riproduttiva che possono restare in vigore anche diversi anni. Nel 2007 il maschio M06 è stato trovato avvelenato insieme ad altri due orsi. M06 aveva un territorio di 180 km2, che includeva almeno 5 orse note. Non è possibile ad oggi conoscere il destino dei suoi piccoli, ma non è possibile escludere che qualcosa di irreparabile sia accaduto.

La morte di un orso causata dall’uomo può innescare una catena di infanticidi. Se la morte di un dominante lascia vacante un territorio, altri maschi lo colonizzeranno, uccidendo la prole del maschio scomparso. Un duro colpo per una popolazione così a rischio.

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