Emergenze e opportunità
Questione di impegno politico, informazione e maggiore coinvolgimento civico
Il successo nella conservazione dell’orso è funzione di una complessità di fattori che vanno dalla biologia alla politica, dall’ambiente alla sfera culturale e sociale.
Una buona ricetta per minimizzare i rischi che l’orso deve affrontare in Appennino dovrebbe prevedere una serie di ingredienti indispensabili: una corretta informazione, maggiore sensibilità ambientale e grado di accettazione, maggiore impegno civico e incisività della componente politica. Da questa consapevolezza possono nascere nuove opportunità per affrontare e risolvere i problemi. Ma quali sono, in base agli studi, i principali potenziali fattori di rischio per l’orso e quali sono gli strumenti per risolverli?
Investimenti, veleno, armi da fuoco, lacci causano un numero elevato di morti e richiedono una presa di responsabilità collettiva.
Gli orsi muoiono in Appennino. Tra la data di istituzione del Parco (1923) fino al 1970, almeno 60 orsi sono stati uccisi. Dagli anni 70 ad oggi, nulla sembrerebbe essere cambiato, mediamente 3 orsi sono ritrovati morti ogni anno. Adulti e giovani, maschi e femmine, per un totale di almeno 124 orsi negli ultimi 50 anni. Tra il 1980 e il 1985, in particolare, sono stati raggiunti numeri vertiginosi con picchi compresi tra i 27 e i 32 orsi morti in meno di 5 anni. Tuttavia, facendo un salto di 40 anni, nel 2018, 6 animali sono morti in un solo anno. Di cosa muoiono gli orsi? Gli orsi muoiono di cause naturali, ad esempio uccisi da altri orsi o a causa di malattie. Tuttavia, dagli anni 70 ad oggi, sono almeno 40 gli orsi vittime di atti di bracconaggio (ad esempio presi ad un laccio o avvelenati) o morti per armi da fuoco (accidentalmente e/o intenzionalmente durante battute di caccia).
Una strage passata inosservata
Alle ore 9:00 di mattina del 30 settembre 2007 il collare del maschio marcato M06 cambia il ritmo del suo segnale. I ricercatori sanno che quando succede l’animale è immobile da almeno 6 ore. L’orso è morto o ha perso il collare. Il ritrovamento dopo poche ore del corpo inerte e integro dell’orso dal personale del Parco e dell’Università vanifica ogni speranza che l’orso possa essere ancora vivo. Nei quattro giorni di sopralluoghi successivi, lo scenario si fa sempre più drammatico. Sono rinvenute le carcasse di altri due orsi, una femmina adulta e un giovane di 2 anni, di cinque lupi e almeno diciotto cinghiali. Contestualmente, i guardiaparco e i carabinieri forestali individuano almeno undici carcasse tra capre, pecore e mucche sparse in zona. L’autopsia e le analisi tossicologiche su una capra, sugli orsi e del contenuto di una bottiglia abbandonata non lasciano dubbi: gli animali sono stati avvelenati con un pesticida che ad alte concentrazione può uccidere un essere vivente in pochissime ore. Tutto questo è accaduto a pochi chilometri da Pescasseroli, il centro del Parco. Chi sono i responsabili? Le indagini non hanno dato nessun esito sul possibile colpevole. Quale è stata la risposta del pubblico? Una manifestazione locale, ma nulla a livello nazionale.
A questi si aggiungono altri 28 orsi investiti da treni o automobili o annegati all’interno di serbatoi idrici o feriti da cani domestici o di patologie associate alla presenza diffusa di animali domestici non vaccinati (clostridiosi, tubercolosi). Per quel che noto, l’uomo direttamente o indirettamente è responsabile di oltre l’80% delle morti ad oggi documentate. Tuttavia, la morte di molti orsi potrebbe essere prevenuta con politiche di gestione territoriali mirate, campagne di informazioni e maggiore impegno civico.
Orsi persi in un bicchiere d’acqua
In data 15 novembre 2018 il personale del Parco, coadiuvato dai Carabinieri forestali, ha recuperato 3 orsi in una vasca per la raccolta dell’acqua ai margini dell’Area Contigua del Parco. Si tratta di una femmina di circa 10 anni, con 2 cuccioli dell’anno, un maschio e una femmina, che sono presumibilmente annegati cadendo nella vasca per la raccolta delle acque dalla quale non sono riusciti a risalire. La vasca, nella quale erano già morti altri 2 orsi nel 2010, era già stata messa in sicurezza, ma gli interventi nel tempo non sono stati adeguati a garantire la sicurezza di uomini e animali. A dare l’allarme sulle condizioni della vasca a rischio è stata una ONG e un escursionista, ma soltanto 8 anni dopo i primi interventi. Tutto è accaduto in un’area fuori Parco, in un territorio attraversato da tutti e da nessuno. Una situazione che si è persa dietro ai ritardi della burocrazia degli enti pubblici, mancanza di coordinazione istituzionale e una estrema frammentazione amministrativa del territorio oltre che la noncuranza di molti cittadini.
Mele, pere, pecore, galline e api attraggono gli orsi, e sebbene i danni economici possono essere mitigati, sono oggetto di conflitto.
Necessità, adattabilità e intelligenza consentono agli orsi di imparare rapidamente a sfruttare nuove risorse alimentari, soprattutto quando si tratta di cibi ipercalorici prodotti dall’uomo. I danni da orso al bestiame, ai raccolti e agli alveari sono documentati sin dalla fine degli anni ’60 nel PNALM. Dal 2005 al 2015, ad esempio, mediamente 190 danni/anno al patrimonio zootecnico sono stati reclamati entro i confini dell’Area Contigua con coinvolgimento di ovi caprini, mucche e cavalli, animali da cortile e alveari e circa 50 danni/anno alle colture, con prevalenza di alberi di frutta, per un totale di circa 76.000 euro di costi di indennizzo. La maggior parte degli eventi si verifica in estate e autunno e le categorie più colpite sono in genere pecore e vitelli, anche se in termini di costi, le arnie da sole contribuiscono al 20% degli indennizzi. In media soltanto il 6% delle aziende zootecniche e il 20% di quelle apistiche presenti nel territorio subiscono danni ogni anno (da 6 a 49 aziende colpite ogni anno), di queste circa 4 subiscono danni cronici e contribuiscono, da sole, al 24% degli indennizzi risarciti.
Le recinzioni elettriche risultano efficaci nel proteggere piccole imprese, come gli apiari, dai danni da orso e favoriscono la coesistenza con gli orsi.
Gli strumenti per mitigare questi danni esistono. Diversi studi e l’esperienza diretta di molti allevatori, confermano che l’adozione di misure di protezione (recinzioni elettriche, pollai anti orso, cani da guardiania e sorveglianza da parte di pastori) è un investimento di energie e economico, ma contribuisce a contenere le perdite entro i limiti del rischio di impresa. Tuttavia, in assenza di controllo, manutenzione e di adozione di buone pratiche da parte dei singoli individui (ad esempio la rimozione di attrattivi alimentari o il ricovero in stalla notturno), l’efficacia di questi sistemi si riduce però al minimo. Dall’altra parte, le Regioni, le Aree protette e diverse Associazioni non governative offrono, ad oggi, non solo programmi di indennizzo e/o risarcimento economico, ma anche altre forme di incentivi economici per la prevenzione. Tuttavia, negli ultimi anni, la presenza ricorrente di orsi condizionati dal cibo (polli, conigli e alberi da frutta non protetti) all’interno dei centri abitati sta generando molte controversie di natura sociale e gestionale. Se da una parte esistono gli strumenti per mitigare i danni economici, la mitigazione dei conflitti non può prescindere da una stretta collaborazione, fiducia e supporto reciproco fra Enti gestori e i soggetti interessati (allevatori, agricoltori e abitanti in generale) secondo un modello comunitario nordamericano che si sta diffondendo anche in contesti europei. E’ possibile creare una comunità a prova di orso?
L’aumento vertiginoso del numero visitatori all’interno delle aree protette offre molte opportunità, ma se non gestito, anche effetti indesiderati.
L’ecoturismo è un settore in forte crescita negli ultimi anni in tutto il mondo. Tra le forme di turismo più attrattive e popolari rientrano il turismo mirato ad osservare gli animali e le attività ricreative e sportive spese in natura. In Italia sono oltre 100 milioni i visitatori all’interno delle aree protette. Gli Enti gestori si trovano di fronte a una vera sfida, ovvero ridurre qualsiasi effetto indesiderato sugli animali, senza perdere l’opportunità di valorizzare il ritorno economico per le comunità locali e soprattutto il potenziale di utilizzare questi numeri per sensibilizzare il pubblico sulle tematiche ambientali. Gli strumenti a disposizione sono molti (campagne di informazione, applicazione delle normative vigenti, adozione di regolamenti di accesso e fruizione del territorio), ma richiedono collaborazione e consapevolezza da parte dei fruitori del territorio. Negli ultimi anni, una criticità emergente anche su scala internazionale, è lo stalking nei confronti degli orsi e non solo, da parte di appassionati e emulatori di ogni genere e professione, che si affollano nei centri abitati o sulle strade o in aree sensibili per avvistarli o fotografarli. Gli effetti di questi comportamenti potrebbero compromettere nel lungo termine il benessere degli orsi. Ma perché gli orsi sono così sensibili e quali sono le conseguenze di avvicinarsi troppo ad un orso?
La presenza di orsi che frequentano aree vicine a centri abitati in Appennino può rappresentare una forte attrattiva per appassionati, curiosi e fotografi.
La genetica e i piccoli numeri non giocano a favore degli orsi, ma la sua unicità è da preservare.
Le ricerche ad oggi condotte sul genoma confermano come la ridotta variabilità genetica e l’elevato livello di inincrocio degli orsi in Appennino, potrebbero contribuire a ridurre la loro capacità di sopravvivere e riprodursi. La circostanza aggravante, in questo scenario, è il numero basso di orsi che rendono la popolazione molto fragile, perché sensibile a qualsiasi evento catastrofico. Rubando una immagine dal nostro quotidiano, è possibile tranquillamente affermare che tutta la popolazione di orsi nel PNALM, potrebbe entrare in unico pulmino scolastico. Una curva sbagliata ed ecco che l’orso potrebbe scomparire del tutto. E’ possibile auspicare degli interventi di salvataggio genetico, magari prendendo orsi da altre popolazioni europee? Sebbene non siano da escludere nel lungo termine, molti ricercatori concordano che l’unicità genetica, morfologica e comportamentale dell’orso in Appennino potrebbe essere del tutto compromessa da questo tipo di azioni. Ad oggi, l’aumento numerico della popolazione, così come una sua espansione, sono le uniche condizioni che potranno contribuire realisticamente a ridurre la perdita di variabilità genetica degli orsi. I ricercatori concordano, infatti, che in termini di priorità, tra le azioni necessarie per il futuro dell’orso, quelle mirate alla riduzione della mortalità e all’aumento del grado di accettazione del plantigrado nelle future aree di espansione, sarebbero sicuramente al primo posto.
Gli zoologi Paolo Ciucci a Anna Loy ci raccontano dell’unicità genetica degli orsi in Appennino e di come preservarla.
I cambiamenti climatici potrebbero mettere a rischio o favorire gli orsi nel futuro, contribuendo anche ad aumentare i conflitti.
Quali sono gli effetti dei cambiamenti climatici sugli orsi e sulla loro capacità di adattamento? Domande che attendono ancora molte risposte, ma su cui gli studiosi stanno investigando. Le temperature minime primaverili ed estive sono già aumentate di un paio di gradi durante il secolo scorso. Nel prossimo secolo le temperature si alzeranno ancora, causando siccità e cambiamenti significativi nella comunità vegetale, comprese molte risorse alimentari appetibili dagli orsi. Le direzioni di questi cambiamenti potranno essere varie (alcuni cibi aumenteranno e altri diminuiranno) e potrebbero contribuire ad aumentare i conflitti con le attività antropiche. In questa prospettiva, preservare e ripristinare, attraverso interventi selvicolturali, le fonti di cibo naturali per gli orsi e altri animali, dovrebbe diventare una priorità; così come mantenere ampie aree sicure e diversificate in termini di biodiversità, in modo da favorire un maggiore adattamento degli animali alle condizioni ambientali future.
L’esperto di orsi americano David Mattson ci racconta come i cambiamenti climatici potrebbero avere un impatto sulla vita degli orsi.
La conservazione dell’orso è legata ai nostri comportamenti, valori e decisioni. Maggiore sarà il rispetto e la tolleranza, meno vulnerabile sarà la popolazione ai cambiamenti del clima e all’uomo, e maggiore la probabilità che gli orsi riusciranno a muoversi con successo in Appennino.