Perché conservare l’orso
Una sfida che coinvolge tutti
Direttamente o indirettamente l’uomo ha causato la scomparsa degli orsi in gran parte dell’Appennino.
Già a partire dal secolo scorso, l’orso sopravvive in una unica e isolata popolazione di poche decine di individui ristretta in un area di meno di 2000 km2. Per non estinguersi, gli orsi dovrebbero aumentare numericamente ed espandersi in tutto l’Appennino, così da potere affrontare meglio i cambiamenti climatici, ambientali e i rischi genetici legati al loro essere in pochi. Come potrebbero aumentare gli orsi? La probabilità che altri orsi immigrino da altre popolazioni è pressoché nulla, e quindi l’orso in Appennino può fare affidamento solo sulle proprie capacità riproduttive per sopravvivere, che a stento però riescono a contrastare i livelli attuali di mortalità. Tuttavia, le ricerche confermano che è possibile invertire qualsiasi tendenza negativa, riducendo appunto la mortalità. Una domanda, però, sorge spontanea: gli orsi sono davvero in grado di muoversi e sopravvivere nel resto dell’Appennino?
La disponibilità di spazio idoneo non è limitante in Appennino, e le segnalazioni di orsi degli ultimi anni lo confermano.
In Appennino centrale l’orso potrebbe muoversi in un’area di oltre 26.000 km2 dalla dorsale appenninica umbro‐marchigiana fino al Massiccio del Matese. al confine tra Molise e Campania. Tuttavia anche gli orsi, come le persone, hanno le loro preferenze e in base a migliaia di punti di presenza raccolti tra gli anni 2004 e 2014, che hanno permesso di comprendere i gusti degli orsi, e le più recenti tecniche statistiche di modellistica, solo il 20% di questa area ha in realtà le caratteristiche ambientali per ospitare stabilmente degli orsi, per un totale di 5.244 km2. Questa area è però sufficiente a sostenere, in termini di estensione e qualità ambientale, una popolazione vitale di orso, ovvero autonoma dal punto di vista riproduttivo e sufficientemente indenne da rischi di depressione da inincrocio nel breve e medio periodo, corrispondente ad almeno 200 orsi.
Paolo Ciucci ci racconta i punti di forza e le criticità per il futuro dell’orso in Appennino.
Sebbene ci sia spazio per gli orsi in Appennino, alcune aree sono troppo frammentate per accogliere femmine
Nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, tra i Monti Simbruini e i Monti Ernici, tra i sistemi montuosi dei Monti della Duchessa e il Sirente Velino, tra le Gole del Sagittario e il Parco della Majella, fino al Gran Sasso, al Reatino esistono delle vere e proprie roccaforti per l’orso che, per configurazione e dimensione, sono in grado di accogliere femmine con piccoli: i futuri epicentri da cui potrebbero germogliare nuove micro popolazioni. Queste aree, che coprono una superficie non continua di 3.190 km2, potrebbero ospitare fino a 70 femmine, di cui più della metà tra il territorio del PNALM e il comprensorio degli Ernici e Simbruini. Tuttavia, le zone del Matese, della Majella nord‐occidentale, dei Sibillini e, sempre in Umbria, ampie porzioni a nord‐ovest della valle del Nera (circa il 39% delle aree idonee), sono troppo frammentate per consentire una ricolonizzazione permanente da parte dell’orso, riducendo il potenziale di espansione e crescita della popolazione.
Gli orsi hanno un rischio elevato di imbattersi in una fatalità in tutte le aree indipendentemente dalla idoneità e livello di tutela.
Per un orso muoversi in Appennino non è senza rischio. Più del 25% (6.481 km²) del territorio include zone a bassa quota, con scarsa vegetazione forestale e attraversate da strade, in cui gli orsi hanno una elevata probabilità di essere investiti o uccisi, anche solo accidentalmente, da armi da fuoco o veleno. Alcune di queste aree ricadono in zone ricche da un punto di vista alimentare, una vera attrazione per gli orsi, ma a scapito della vita. Nel PNALM, nel Sirente e negli Ernici più della metà del territorio è considerato a rischio di mortalità per gli orsi e nel Cicolano/Reatino più del 70%. Nonostante la maggior parte delle aree idonee, comprese le roccaforti, prevede una forma di tutela, perché ricadenti in aree protette o all’interno della rete di Natura 2000, anche in queste aree gli orsi muoiono. Altre aree come i Monti Sabini, i Monti Reatini, il Cicolano e i Monti Carseolani non sono attualmente vincolati da alcuna forma di protezione. In presenza di un così elevato e diffuso rischio di mortalità antropica è chiaro che qualsiasi sforzo di conservazione rischia di essere vanificato.
Movimenti di dispersioni di 3 orsi maschi. In totale, ogni orso ha “viaggiato” a distanza di oltre 200 km dal PNALM. Questi spostamenti sono tipici di giovani maschi in cerca di cibo, femmine e nuovi territori in cui prendere la residenza.
Lo scarso grado di espansione dell’areale della popolazione osservato in questi ultimi decenni potrebbe essere dovuto alla difficoltà degli orsi ad uscire.
Gli orsi incontrano non poche difficoltà ad uscire dall’area stabile di presenza (PNALM e aree contermini) verso le porzioni periferiche occidentali (Ernici e Simbruini), meridionali (Matese) e orientali (Majella meridionale). Sono pochi i corridoi sicuri, ovvero quelli dove gli orsi possono vivere e riprodursi nella loro lenta espansione: un unico nella val Roveto, in direzione nord‐ovest, che connette l’area del PNALM con il margine orientale dei Simbruini, e una serie di corridoi frammentati che connettono i versanti nord‐orientali del PNALM con la Majella, da una parte (passando per la Riserva del M.te Genzana), e con il Velino‐Sirente, dall’altra. Sebbene idonei, alcuni corridoi contengono molte trappole ecologiche, con il rischio quindi di vanificare l’effettiva dispersione di giovani orsi dalla popolazione sorgente del PNALM.
Un esempio dell’area utilizzata dall’orsa F21 nel 2019. Questa femmina è un’orsa periferica che vive gran parte del suo tempo a cavallo della Strada Statale 17, una strada a scorrimento veloce dove nello stesso anno è stata investita e uccisa una madre con il suo piccolo che è rimasto orfano. Negli anni precedenti almeno altri orsi sono stati investiti nella stessa strada, alcuni sopravvissuti.
L’orso ha tutte le condizioni per crescere numericamente ed espandersi, ma non senza un rinnovato sforzo di tutela.
Come è possibile favorire l’espansione dell’orso? Intensificando gli sforzi di conservazione sia all’interno che all’esterno delle aree protette, prioritariamente nelle aree di connessione e nelle aree che possano garantire la presenza stabile delle femmine. Pianificando interventi di ripristino di idoneità ambientale (interventi di gestione forestale e di silvicoltura); interventi di prevenzione, mitigazione e controllo del rischio di mortalità (controllo degli illeciti; miglioramento della permeabilità stradale; campagne informative); interventi di regolamentazione delle attività antropiche (accessi e costruzione di infrastrutture); interventi di prevenzione e riduzione dei conflitti sociali e economici (interventi di prevenzione e campagne di sensibilizzazione). Non da ultimo, risulta critico, predisporre il contesto sociale e culturale nelle potenziali aree di presenza dell’orso su scala appenninica, considerando che le popolazioni umane residenti nelle porzioni periferiche e di espansione dell’areale potrebbero non condividere gli atteggiamenti, i comportamenti e la tolleranza tipica delle popolazioni che da sempre vivono a contatto con l’orso.
L’orso mette in relazione molte e diverse categorie di interesse. Per creare consenso per l’orso e cambiamento ci vuole coordinamento e partecipazione.
I conflitti dietro alla conservazione dell’orso sono multiformi e investono ambiti storici, politici, scientifici, economici, cognitivi, sociali ed etici. Una ipercomplessità resa ancora più evidente dall’urgenza richiesta dalla tutela di questo plantigrado dal futuro forse incerto. Se da una parte è l’attitudine del pubblico e i conflitti che ne conseguono a mettere a rischio la conservazione dell’orso, dall’altra politici e amministratori non riescono a gestire in maniera efficiente questa complessità. Parte di queste difficoltà si riconducono a una eccessiva burocrazia, frammentazione politica e intergiurisdizionale che si traducono in estrema lentezza dei procedimenti amministrativi e decisionali, in una assente o inefficiente applicazione di piani di gestione o delle legislazioni vigente, e in un ridotto coinvolgimento e impegno del pubblico. Oltre agli impatti diretti sul benessere umano o sulle attività economiche, molti dei conflitti con l’orso rientrano, infatti, nel simbolismo associata alla sua presenza (sfiducia nelle Istituzioni, necessità di legittimazione politica etc.). Dall’altra parte è proprio dalla comprensione di questa complessità che può nascere l’opportunità da parte soprattutto del pubblico di avere un ruolo di guida e controllo nei confronti dei processi politici ed istituzionali legati alla conservazione di questo animale. L’orso è di tutti, non appartiene a un Ente o Istituzione, ovvero siede alla nostra stessa tavola che va ben oltre le mura della nostra casa.
Paolo Ciucci ci racconta del ruolo che un pubblico informato può avere per sostenere il futuro dell’orso e sul perché è importante conservare l’orso.
Che cos’è il PATOM?
Per l’orso in Appennino è stato redatto nel 2011 un piano di azione (PATOM:Piano d’Azione per la Tutela dell’Orso Marsicano) che analizza lo stato di conservazione dell’orso marsicano e individua le azioni da realizzare per migliorarne lo stato di conservazione. Per assicurare l’attuazione delle misure di tutela previste dal PATOM, il Ministero della Transizione ecologica (ex Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare), le regioni Abruzzo, Lazio e Molise, il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, il Parco Nazionale della Majella e i Carabinieri forestali, hanno stipulato e firmato già dal 2016 una serie di accordi pluriennali per rendere attuativo il piano.
Per informazioni e approfondimenti, puoi leggere gli accordi, le relazioni e i verbali su https://www.minambiente.it/pagina/piano-dazione-la-tutela-dellorso-marsicano-patom; oppure consultare la pagina dedicata al PATOM su http://www.parcoabruzzo.it/pagina.php?id=461 e gli atti amministrativi delle Regioni; e ancora approfondire su https://www.salviamolorso.it/per-un-nuovo-patom/
Una comunità si costruisce attraverso il dialogo. Una nuova cultura condivisa della comunicazione può favorire sia l’uomo che l’orso nel lungo termine.
Le scelte gestionali per il futuro dell’orso devono sicuramente basarsi su evidenze certe, come insegna anche il mondo della scienza. Tuttavia i pericoli che gli orsi devono affrontare sono così complessi e imprevedibili, da richiedere anche tanta precauzione, ovvero agire prima che sia troppo tardi, facendo scelte che assicureranno comunque un impatto positivo all’orso ( e forse più rinunce da parte nostra). Perché parliamo di un animale che potrebbe rischiare l’estinzione. Ma per consentire a tutti di fare scelte consapevoli, è necessario riformulare una “nuova cultura della comunicazione”, che coinvolga le Università e gli Enti che si occupano di gestione e conservazione, mirata a costruire fiducia e partecipazione, attraverso la condivisione dei risultati delle ricerche scientifiche e delle scelte gestionali al di fuori del mondo accademico o dei tavoli di lavoro istituzionali. Attualmente, l’opportunità di divulgare informazioni di natura ambientale (scientifica e/o di gestione e conservazione) al pubblico generico è lasciata soprattutto ai media e al crescente numero di network sociali con scarso controllo dei contenuti informativi. Le ricerche in campo ecologico e le questioni ambientali sono poco rappresentate nei media e se presenti includono in maniera preponderante gli aspetti che generano controversia, sensazionalismo e quindi più vicini all’audience e agli interessi umani. Soltanto attraverso un diretto coinvolgimento e la giusta informazione le persone si sentiranno motivate a cambiare i propri comportamenti.
Mettere troppe emozioni o prendere distacco non consentono di fare delle scelte profonde e consapevoli. Il futuro dell’orso dipende da come decidiamo di vivere con loro.
David Mattson ci racconta di come ci sia spazio per orsi e uomini di coesistere e che dipende in qualche modo da entrambi.
E’ possibile pensare ad una visione più profonda, intima, e nello stesso tempo razionale del perché della tutela dell’orso? Ce lo insegna lo stesso orso. Lo studio dell’ecologia di questo animale ci mostra come tutti gli esseri viventi siano interconnessi. Ciò che accade all’orso, accade anche a noi e ciò che fa bene all’orso, fa bene anche a noi. E’ da questa consapevolezza che può nascere l’apprezzamento e il rispetto per la conservazione di questo animale e anche le nostre scelte gestionali. Innanzitutto, bisognerebbe forse partire dall’idea che un modello di separazione totale tra uomini e animali è irrealizzabile soprattutto in un contesto italiano, dove la densità abitativa è alta anche all’interno di aree naturali. L’uomo non si pone dei limiti e confini (abbiamo costruito paesi e città nelle valli più produttive, scansando gli animali), come pretendere che lo facciano gli animali. Un modello di piena convivenza è forse altrettanto utopistico, perché non vuol dire semplicemente dividere lo stesso spazio, ma si basa su un concetto di relazione, ovvero nasce dalla consapevolezza che tutti gli essere viventi dipendono gli uni dagli altri e sono uniti da relazioni e si completano. Una visione ideale, ma estrema forse, anche per gli animali stessi. Il segreto della conservazione è probabilmente nel mezzo. La soluzione forse è coesistere, dividere ovvero lo stesso spazio, ma senza interferire, o disturbarsi a vicenda, ovvero dandosi spazio reciprocamente. In questo non sono certo gli animali che possono scegliere ( possono solo essere in grado di adattarsi), ma siamo noi che dovremmo concedere il giusto spazio. La coesistenza, tuttavia, non si deve basare solo sulla tolleranza, ma soprattutto sul riconoscere che uomini e animali fanno comunque parte di uno stesso ecosistema, e che le relazioni di cui si parlava prima esistono realmente. E’ da questo riconoscimento, che nasce il rispetto. In questa visione, trovare soluzioni o mitigare i conflitti non è altro che uno dei motivi del vivere insieme. Ma una cultura della coesistenza nasce e cresce da un lavoro di gruppo, ovvero dalla fusione delle azioni dei singoli e quindi dal sentirsi una comunità. E come scrisse un anonimo:“Sii gentile sempre. Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai nulla: un pensiero che dovrebbe valere per gli orsi come per gli uomini”.
La conservazione dell’orso richiede umiltà e la voglia di rispondere a poche e semplici domande: a cosa siamo disposti a rinunciare per vivere con gli orsi? E’ così impossibile adattarsi e cambiare, ovvero modificare la propria vita per accogliere l’altro?