Lo stato dell’orso in Appennino
Un grande potenziale, ma un destino fragile
I primi tentativi volti a quantificare il numero effettivo di orsi presenti nel territorio del Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise sono stati effettuati tra gli anni 70 e 90.
In quegli anni, la presenza dell’orso risultava limitata essenzialmente al territorio del PNALM, con un numero di individui variabile, a seconda delle fonti, tra 100 e 40. Difficile dire con certezza cosa sia avvenuto nella popolazione in quel ventennio, essendo le metodologie applicate per contare gli orsi ancora rudimentali. Tuttavia, nel decennio compreso tra il 2004 e 2014, grazie al subentrare di tecniche innovative di genetica non invasiva, i ricercatori hanno prodotto numeri più attendibili che documentano come la popolazione sia rimasta stabile in questo arco temporale, con una consistenza di circa 50 orsi. Una popolazione esigua da un punto di vista numerico, ma a medio alta densità (circa 4 orsi ogni 100 km2) e composta in prevalenza da individui adulti (circa il 60% degli orsi) con un bilancio positivo a favore delle femmine.
Conteggi di orsi realizzati dagli anni 70 ad oggi. Soltanto dopo il 2004 sono stati introdotti dei metodi che hanno consentito di produrre dei dati più accurati e di cui si è potuto stabilire il grado di precisione. Le barre verticali rappresentano l’incertezza intorno al valore puntuale. (da Ciucci e Boitani 2008; Zunino and Herrero 1972; Zunino 1976 1974; Zunino 1976:679, 1990; Fabbri et al. 1983; Boscagli 1990, 1991 e 1999; H.U. Roth, personal communication; Zedrosser et al. 2001; Lorenzini et al. 2004a, Potena et al. 2004; Gervasi et al. 2008; Ciucci e Boitani 2008)
In questo stesso arco temporale, i ricercatori hanno prodotto anche la prima mappa di distribuzione dell’orso in Appennino centrale. Nonostante la generale buona idoneità ambientale documentata in Appennino, l’areale dell’orso risulta esteso soltanto per circa 5422 km2 , con un’area centrale di presenza stabile limitata a poco più del territorio del PNALM, inclusa l’area contigua e alcune aree al di fuori (circa 1460 km2) e un’area periferica estesa fino ai Sibillini (circa 3962 km2) di presenza occasionale di pochi individui erranti di sesso maschile. Fino al 2014, la presenza di nuclei familiari, ovvero di femmine in grado di riprodursi, risulta limitata esclusivamente a poco più del territorio del PNALM. Le ricerche, condotte da biologi, genetisti e statistici, hanno individuato come principali cause di questa assenza di crescita numerica e di espansione geografica, il numero ridotto di femmine che si riproducono ogni anno nella popolazione, l’elevata mortalità al primo anno di vita dei cuccioli, e i livelli eccessivi di mortalità a carico delle femmine adulte.
Una femmina di orso morta nel 2019 in Molise a causa di una collisione con un veicolo.
Ogni stagione riproduttiva, questa piccola popolazione sfrutta al massimo tutte le sue risorse per riuscire a riprodursi
Da oltre 10 anni, a partire da 2006 e in estate, ricercatori, tecnici e volontari collaborano per avere indicazioni sulle capacità riproduttive di questa popolazione. Dal 2006 al 2014, ogni anno sono state registrate 1-6 femmine con prole nel PNALM, nel 70% dei casi associate a 2 oppure 3 piccoli, per un totale di nuovi nati che varia da 3 a 12 ogni anno. Quindi basta una mano, massimo due, per contare tutte le femmine che si riproducono nell’area centrale. Il dato non sorprende perché si tratta pur sempre di una piccola popolazione, dei quali poco più della metà sono femmine. Considerando che le orse non si riproducono tutti gli anni ed escludendo da questo conto le femmine giovani, è raro aspettarsi più di 4 o 5 femmine che partoriscono ogni anno. Nonostante gli sforzi, il numero medio di piccoli femmina che una madre riesce ad allevare ogni anno, detto anche tasso riproduttivo, è pari soltanto a 0.18, tra i più bassi noti in Europa e non solo. Come è possibile che una femmina possa fare nascere meno di un piccolo all’anno? La risposta sta nel fatto che le femmine non si riproducono ogni anno: la distanza tra un parto e quello successivo è in genere compresa tra i 3 e 4 anni. Inoltre, una femmina per partorire la prima volta può impiegare oltre 6 anni e alcune femmine sembrerebbero non riuscire a riprodursi anche per 10 anni consecutivi. In aggiunta, la metà dei cuccioli nati non sopravvive all’anno successivo, valori molto bassi se confrontati con quelli di altre popolazioni di orso bruno. Pertanto, mettendo insieme tutti questi dati, i tempi di riproduzione per gli orsi appenninici sono tali, che la morte di un’orsa adulta e riproduttiva lascia un vuoto che un suo cucciolo femmina potrebbe colmare solamente dopo 12 anni. Se poi si considera che sopravvivere dopo il primo anno di vita non è un fatto scontato, i tempi potrebbero essere anche maggiori.
Lo zoologo Paolo Ciucci ci racconta dei numeri intorno agli orsi.
L’essere in tanti e molto imparentati potrebbe non giocare a favore degli orsi.
Le ipotesi dietro a questi numeri possono essere diverse. Ogni specie vivente ha dei propri sistemi di autoregolazione per cui il numero di individui tende a non superare certi valori critici, così da ridurre, ad esempio, la competizione per il cibo. L’infanticidio da parte dei maschi adulti e l’inibizione riproduttiva delle femmine subordinate da parte delle femmine dominanti rientrano tra i sistemi messi in atto dagli orsi in popolazioni numerose in Scandinavia e Alaska. Casi di comprovato o sospetto infanticidio sono stati documentati negli ultimi dieci anni anche in Appennino. Sebbene gli orsi hanno probabilmente raggiunto il loro numero massimo nell’area centrale, il buono stato di salute generale degli individui catturati anche in anni recenti, la dieta ricca e diversificata osservata a livello di singolo animali, le dimensioni ridotte e l’ampia sovrapposizione dei territori e le capacità delle femmine di partorire fino a tre piccoli in un anno, consentirebbero di escludere che gli orsi non sopravvivono o non si riproducono perché denutriti. Tuttavia, non è da escludere, che l’alto tasso di consanguineità degli orsi marsicani possa essere responsabile dell’insorgenza di difetti, patologie e malformazioni congenite che indeboliscono i nuovi nati o riducono la fertilità delle femmine.
In un pomeriggio di maggio, una femmina di orso emerge dal bosco con i suoi due cuccioli al seguito; è la prima volta che l’orsa conduce i piccoli fuori la tana di parto. Per farlo, ha scelto un’area tranquilla e scoscesa, dove né uomini né altri orsi dovrebbero importunarla, finché i piccoli non saranno in grado di seguirla nei suoi spostamenti. Tutte le speranze per questa piccola popolazione appenninica sono riposte in queste femmine esperte.
E’ nella sopravvivenza delle femmine adulte che si gioca il futuro dell’orso
Il numero di femmine adulte e riproduttive, stimato negli stessi anni tra 13 e 14, è considerato da molti esperti estremamente basso, soprattutto se confrontato con il numero di femmine che muoiono ogni anno. Dal 1970 al 2014, in media da 2 a 3 orsi sono stati ritrovati morti ogni anno, compresi giovani e adulti, tra cui almeno una femmina di età maggiore di 1 anno. Ebbene, ciò corrisponderebbe a una mortalità di circa il 6% delle femmine conteggiate in questa popolazione, escludendo i piccoli dell’anno. Considerando che la mortalità osservata ( che deriva dagli orsi ritrovati morti per caso) potrebbe, secondo alcuni autori, essere fino a due volte inferiore a quella reale (quanti non sono stati trovati?), tali valori non sembrerebbero essere compatibili con una crescita numerica. Questo scenario è stato anche confermato da uno studio recente pubblicato nel 2017, che dimostra come in base agli attuali dati di sopravvivenza delle femmine adulte in Appennino (variabile tra 0.87 e 0.95), la popolazione potrebbe addirittura diminuire nei prossimi 100 anni e rischiare di estinguersi (con una probabilità pari al 20%). La gravità di questo scenario è ancora maggiore se si considera che più dell’80% degli orsi ritrovati morti è morto per cause riconducibili all’uomo tra cui bracconaggio, avvelenamento, incidenti stradali e ferroviari. Lo stesso studio evidenzia come questa popolazione sia estremamente suscettibile ad eventi catastrofici (eventi di mortalità di massa) che se ripetuti nel tempo, con intervalli anche di decine di anni, potrebbero triplicare il rischio di estinzione. Tuttavia, emerge anche un elemento positivo. Un incremento anche soltanto del 2% della sopravvivenza delle femmine adulte, garantirebbe all’orso di crescere e sopravvivere nel prossimo futuro.
Ogni anno vengono realizzate attività finalizzate alla stima della produttività (numero di piccoli nati) della popolazione, attraverso la conta del numero minimo di femmine con piccoli (FWC). Le attività sono condotte attraverso 3 strategie complementari di raccolta dati: osservazioni dirette mirate, osservazioni dirette in simultanea e foto-trappolaggio. È riportato anche il numero di femmine ritrovate morte ogni anno.
Negli ultimi anni si sta assistendo a dei segnali positivi, anche se non bisogna abbassare la guardia
Dal 2014 ad oggi, i tecnici e ricercatori, che continuano a monitorare l’orso dentro e fuori il Parco, grazie all’attivazione di una rete di monitoraggio che vede coinvolte non solo le aree protette, ma anche le Regioni e i Carabinieri Forestali, stanno assistendo a un fenomeno molto incoraggiante. Il numero di femmine che si riproducono ogni anno nell’area centrale (da 3 a 9 femmine) e il numero di cuccioli nati (da 6 a 16 cuccioli) risultano superiori alla media osservata negli anni precedenti. Nel 2019, in particolare, grazie anche all’elevata abbondanza di frutti di faggio registrata nel 2018, 9 gruppi familiari sono stati conteggiati nell’area centrale per un totale di 16 piccoli nati, valori tra i più alti mai osservati. Inoltre, a partire dalla fine del 2014, da 1 a 4 femmine con piccoli frequentano zone al di fuori della core area stabile (anche di 30-40 km), per un totale di almeno 13 femmine adulte e almeno 19 nuovi nati fuori dal PNALM. Parallelamente, anche il numero di individui maschi nelle aree periferiche sta dando segni di aumento e di presenza stabile.
Questi dati suggeriscono che negli ultimi anni si sta assistendo sia al reclutamento di nuove femmine produttive nella popolazione nell’area centrale di presenza, ma soprattutto ad una espansione territoriale e una crescita numerica in nuovi territori. Tuttavia è da considerare che i livelli di mortalità non sono variati negli ultimi anni, e che da 1 a 2 femmine continuano a morire ogni anno dentro e fuori il Parco, di cui nel 2019 una femmina associata a un piccolo dell’anno, investita su una strada provinciale, ai confini dell’Area contigua del PNALM. Sebbene il Parco rappresenti ancora la roccaforte per la salvezza dell’orso, il suo futuro si gioca fuori. Affinché la popolazione possa realmente accrescersi, è necessario che le femmine conquistino nuovi territori e diano vita a nuove popolazioni.
In Appennino ci sarebbe spazio a sufficienza per oltre 200 orsi. Ridurre i rischi che tutti questi animali dovranno affrontare è la grande sfida per salvare la specie in Italia Centrale.