L’uomo e l’orso
Dalle caverne ad oggi le vite di uomini e orsi si sono intrecciate indissolubilmente
Il rapporto tra l’uomo e l’orso è antichissimo, nato probabilmente in una caverna, come testimoniano cumuli di crani di orsi disposti in “altari”, sepolture congiunte, pitture rupestri risalenti ad almeno 30.000 anni fa.
Un culto? Forse. Ma è certo che laddove gli uomini hanno coabitato con gli orsi, la presenza del plantigrado non è rimasta inosservata. Nel tempo venerato, amato, odiato e combattuto, probabilmente per la sua forte somiglianza con l’uomo stesso, in Europa oggi l’orso è stato detronizzato dalla sua terra, fisicamente e culturalmente. Ciononostante, tracce indelebili persistono ancora nei miti, nelle leggende e feste popolari. Dietro la scomparsa degli orsi in molte aree del Continente ci sono motivazioni ideologiche, politiche, culturali, ecologiche e biologiche. Sebbene nell’epoca contemporanea gli orsi vivano ai margini della nostra società, occupando più i giardini zoologici, i film, i libri e le camerette dei bambini che la vita reale, in Appennino l’orso sopravvive ancora nella sua autentica selvaticità e in un contesto naturale e culturale del tutto particolare.
Bimbi giocano con un cartello del PNALM raffigurante l’orso appenninico. Qui, la percezione del grande plantigrado è particolarmente positiva rispetto ad altri contesti.
Per soddisfare le proprie necessità energetiche un orso necessita di una dieta varia e flessibile, ricca di cibi nutrienti, e deve potersi muovere all’interno di centinaia di chilometri quadrati di un mosaico ambientale costituito da foreste, praterie montane, coltivi e pascoli, che, in Appennino, è il prodotto di millenni di coesistenza tra uomo e ambiente. È un animale molto abitudinario, ovvero che ritorna periodicamente nei suoi luoghi preferiti, dove cerca cibo o rifugio, seguendo traiettorie che potremmo definire “tradizionali”. Ed è così che esso si prepara al lungo inverno da passare a digiuno. Per un orso il tempo a disposizione per mangiare e la quantità di cibo necessari ad accumulare riserve sono tiranni. Quindi, se può, esso predilige territori tranquilli e lontani dalla presenza umana. Ciononostante la sua adattabilità è sorprendente e sicuramente superiore alla nostra capacità di accoglierlo.
L’uomo ha sempre rappresentato una sfida per una specie opportunista come l’orso e ancora oggi mette a rischio il futuro di questo plantigrado.
L’uomo, con le sue attività estrattive, edilizie, produttive, come agricoltura e allevamento, e ricreative, come il turismo e l’attività venatoria, ha alterato, frammentato e addirittura distrutto interi ambienti. Ciò ha rappresentato una vera sfida anche per una specie opportunista come l’orso. Da qui la sua scomparsa e riduzione numerica in molti paesi, compresa l’Italia. Gli orsi non hanno perso solo “terreno”, ma sono stati cacciati e perseguitati, in particolare nell’Europa meridionale, dove l’orso è stato decimato piuttosto recentemente (ultimi 200 anni). In Italia l’orso si è estinto sulle Alpi e su gran parte dell’Appennino. A metà del secolo scorso, arroccati tra le montagne del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise e nell’immediato circondario, poche decine individui sono però riusciti a sopravvivere. Ciò sicuramente grazie all’asprezza e selvaticità del territorio, ma anche ad un percorso di consapevolezza e protezione che è andato costruendosi nel tempo.
Foto d’epoca che ritrae alcuni notabili e personaggi locali coinvolti nell’ultima battuta ufficiale di caccia all’orso nel Parco Nazionale d’Abruzzo, avvenuta nel 1931. (© Archivio M.Mancini – Campobasso)
Pericoli e minacce non sono scomparsi del tutto. L’uomo con la sua notevole impronta ecologica continua a mettere a rischio il futuro di questo plantigrado, ormai vulnerabile. Gli orsi sono pochi e quindi molto suscettibili ad eventi catastrofici che potrebbero decimare la popolazione nei prossimi decenni. Ne muoiono ogni anno a livelli incompatibili con una crescita numerica. Questi animali sono “geneticamente fragili”, perché millenni di isolamento e riduzione numerica hanno impoverito il loro patrimonio genetico, rendendoli meno adattabili e troppo affini gli uni agli altri. Ciò li espone a effetti negativi da depressione da inincrocio, come, ad esempio, la riduzione della fertilità e della sopravvivenza dei neonati.
Ciononostante, la buona notizia è che gli orsi marsicani sono sorprendentemente vitali da un punto di vista riproduttivo. Pertanto, riducendo la mortalità, dicono gli studiosi, questa sottospecie potrebbe tornare a ripopolare l’Appennino (oltre 5.000 km2 di territorio disponibili), con una popolazione autonoma e vitale di oltre 200 orsi. Sebbene ci sia ancora spazio per gli orsi in Italia Centrale, alcune aree sono troppo frammentate e rischiose per accogliere le femmine. In natura, gli orsi potrebbero arrivare anche a 30 anni d’età se è l’uomo a non impedirlo. Ancora oggi infatti, questi è causa diretta o indiretta di oltre l’80% della mortalità degli orsi. Negli ultimi due decenni, per mano dell’uomo sono morti fino a 5 orsi in un anno. Se poi si torna indietro di mezzo secolo, gli orsi uccisi erano molti di più.
Sono numeri che allarmano, soprattutto considerando che tra i decessi rientrano le poche femmine adulte in grado di riprodursi e quelle che stanno cercando di occupare nuove aree di possibile espansione per la specie. Ma di cosa muoiono gli orsi in Appennino e quali sono i fattori di conflitto?
A sinistra – Un cartello sollecita a ridurre la velocità di guida lungo le strade che attraversano l’area di presenza dell’orso. A destra – Orso morto nel 2019 in Molise per collisione con un veicolo.
La presenza di strade (asfaltate e sterrate) non solo aumenta il rischio che gli orsi siano investiti dagli autoveicoli, ma determina anche la permeabilità di un territorio, facilitando atti di bracconaggio, che non risparmiano i plantigradi. Strade ad elevato scorrimento, come superstrade e autostrade, poi rappresentano delle vere e proprie barriere ai movimenti degli orsi, limitando la possibilità per la popolazione di espandersi. Le femmine sono le più suscettibili, e la loro mancata dispersione è il principale ostacolo alla creazione di nuovi nuclei riproduttivi al di fuori del PNALM. Eppure esistono soluzioni per diminuire i rischi, che però necessitano di una collaborazione tra istituzioni e pubblico: educazione stradale, interventi strutturali, segnaletica adatta e sistemi di avviso sonori e/o luminosi per conducenti e animali.
Gli orsi possono cadere vittima di armi da fuoco, lacci posizionati dai bracconieri per la cattura di ungulati o avvelenati. Talvolta gli orsi sono uccisi anche casualmente, durante le battute di caccia. La maggior parte degli orsi ritrovati morti, indipendentemente dalla causa di decesso, durante la necroscopia presentava pallini da caccia conficcati nel corpo. Ciò sottolinea i rischi che questi animali devono affrontare durante la stagione autunnale, quando cercano di attraversare territori non protetti o le aree contigue di un Parco Nazionale. Questi problemi si potrebbero risolvere con un maggior controllo sull’applicazione delle norme o come si sta già effettuando in alcune regioni, con l’adozione di modalità di caccia più compatibili con la presenza dell’orso.
Gli orsi che si avventurano fuori dei confini delle aree protette rischiano maggiormente di essere coinvolti in incidenti di caccia o in atti di bracconaggio.
Gli orsi talvolta uccidono il bestiame, danneggiano le arnie e alcuni individui hanno preso l’abitudine di avventurarsi all’interno dei centri abitati alla ricerca di cibo facile, come frutta, verdura e animali da cortile non protetti. Queste sono situazioni che possono generare nelle persone non solo insicurezza economica, ma disagio e timore per la propria incolumità. Il fenomeno di orsi che si abituano alla presenza dell’uomo è una preoccupazione anche per gli Enti gestori, soprattutto dentro le aree protette dove il fenomeno potrebbe aumentare nei prossimi anni, a causa dell’aumento vertiginoso dei fruitori del territorio. La preoccupazione risiede anche nell’aumento delle occasioni di incontro tra orsi e persone a distanza ravvicinata, dall’esito potenzialmente imprevedibile. In Appennino, non esiste una casistica di attacchi e ferimenti, grazie anche all’indole docile di questa sottospecie. Tuttavia un evento del genere è da esorcizzare in tutti modi, perché sarebbe fonte di impopolarità e paura e perché potrebbe determinare la rimozione di un orso dallo stato selvatico: un danno enorme per una popolazione così povera di individui.
Ma non tutto è perduto. Infatti sono stati individuati sistemi di prevenzione e incentivi, che attuati in collaborazione con i diversi gruppi di interesse potrebbero attutire i conflitti. Inoltre, alla luce del cambiamento climatico che potrebbe influenzare nel futuro la disponibilità di risorse alimentari naturali, per scongiurare il rischio di un aumento dei conflitti, si rendono prioritari non solo la prevenzione ma anche interventi di ripristino ambientale.
Un orso in cerca di frutta attraversa un centro abitato del PNALM durante le ore notturne. (© Marco Colombo – www.calosoma.it)
Negli ultimi 20 anni, nell’area di presenza dell’orso si è assistito ad un forte aumento del turismo, soprattutto a carico dei Parchi Nazionali, anche indirizzato alla fruizione della natura all’osservazione della fauna. Sebbene il ritorno economico per le popolazioni locali e di immagine per l’orso sia indiscutibile, la pressione esercitata sull’ambiente e sugli animali può essere eccessiva. È dimostrato che, se disturbati o allontanati dalle loro fonti alimentari ottimali, gli orsi possono subire dei deficit nutrizionali. Le femmine di orso sono sì evolutivamente programmate ad adattarsi alle variazioni di quantità di cibo in natura, ma a caro costo. Se in autunno le orse fecondate non raggiungono il peso giusto, il feto, infatti, può essere riassorbito e, a primavera, la femmina uscirà dalla tana senza cuccioli. Gli orsi sono particolarmente sensibili anche in inverno: se disturbate in tana, le femmine, ad esempio, possono abbandonare i cuccioli. Storie non a lieto fine che allarmano, considerando l’estrema vulnerabilità della popolazione appenninica. Tuttavia, esiste pur sempre la possibilità di condurre queste attività in maniera responsabile e minimizzando il disturbo sugli animali.
Appassionati, fotografi e curiosi si concentrano alla periferia di un centro abitato per osservare da vicino una famiglia di orsi.
Le opportunità per proteggere gli orsi sono molte, come anche le risposte sul perché conservarlo, sebbene una vince su tutte
Oltre il 60% dell’area di presenza e di possibile espansione futura dell’orso oggi è soggetto a forme di protezione di varia misura. Questo determina reali opportunità per una pianificazione e un controllo del territorio mirati alla protezione dell’orso. Tuttavia, anche nelle aree protette, il rischio che l’orso incontri una fatalità è molto alto. L’animale ha quindi tutte le condizioni per crescere numericamente ed espandersi, ma non senza un rinnovato sforzo di tutela che dia priorità a determinate tipologie e modalità di intervento. Le soluzioni sono complesse, richiedono tempo e il coinvolgimento di tutti i settori. Dal Governo alle Amministrazioni locali, dagli Enti Gestori alle Associazioni, fino ai gruppi di interesse e al pubblico generico, occorre uno sforzo congiunto per trovare soluzioni a lungo termine. Dall’istituzione del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise ad oggi, grazie alla collaborazione di diverse parti sociali, molto è stato fatto per la tutela dell’orso anche oltre i confini del Parco. Una base incoraggiante da cui partire per affrontare le sfide del futuro.
Perché conservare gli orsi? Cercare una risposta a questa domanda vuol dire entrare in un universo multidimensionale. La risposta più immediata è che l’orso è una specie protetta da leggi internazionali e nazionali e, quindi, democraticamente parlando, la sua protezione è desiderata dalla maggioranza. D’altro canto, gli orsi sono esseri viventi come noi e in quanto tali, da un punto di vista etico, meritano di esistere. Ma noi esseri umani siamo pur sempre fatti di valori, percezioni, emozioni, pregiudizi, culture, interessi e esperienze. Non resta che provare a denudare l’orso di tutte le pelli con cui l’uomo lo ha rivestito e riscoprire il suo ruolo fondamentale e indiscutibile nella natura.
Un pannello informativo illustra la biologia dell’orso nel Comune di Pettorano sul Gizio (AQ), sede di un progetto di Bear Smart Community.
Grazie ai loro ampi requisiti spaziali, gli orsi sono delle vere e proprie sentinelle. La loro presenza indica che un ecosistema è sano e diversificato, ovvero in grado di assicurare la sopravvivenza di una grande varietà di specie. Gli orsi hanno una loro funzione negli ecosistemi, perchè sono interconnessi con le comunità di piante e animali con cui condividono lo spazio. Con le loro attività di scavo e deposizione di escrementi e resti alimentari, essi fertilizzano i suoli favorendo la produttività delle piante e arricchendo le acque. Disseminando semi di molte piante da frutta, attraverso gli escrementi, gli orsi forniscono cibo a uccelli e roditori. Un orso può modificare la vita di una formica così come quella di un albero. Assicurare il futuro all’orso, vuol dire preservare un intero ecosistema e garantire anche la sopravvivenza di tutte le altre specie, compresa la nostra. Ma preservare l’orso vuol dire anche salvare l’identità di molti popoli e culture, compresa quella appenninica.
Da vivo, il grizzly è un simbolo della libertà e della capacità di comprendere un segnale che l’uomo può imparare a conservare quello che rimane della Terra. Estinto, sarà un’altra testimonianza di quello che l’uomo avrebbe dovuto imparare di più, invece di essere troppo preso da se stesso per notarlo. Nel suo essere sotto assedio, l’orso è soprattutto un simbolo di ciò che l’uomo sta facendo a tutto il Pianeta. Se possiamo imparare da queste esperienze e farlo con raziocinio, sia l’orso che l’uomo potrebbero avere una possibilità di sopravvivere.
– Frank Craighead –