Dove vive
Un viaggio tra le montagne degli orsi
Il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise e le zone limitrofe da sempre rappresentano la roccaforte degli orsi dell’Appennino.
Questo cuore selvaggio d’Italia è costituito da oltre 1300 chilometri quadrati di montagne scoscese e valli profonde, solcate da numerosi corsi d’acqua e ricoperte di imponenti foreste che ospitano una natura sorprendente, sopravvissuta quasi per miracolo a poca distanza da metropoli come Roma e Napoli. Nonostante la vicinanza al mare, il clima è meno mite di quello prettamente mediterraneo. Le estati sono secche e gli inverni freddi e nevosi. Una coltre candida può ricoprire le cime da metà dicembre fino a tutto il mese di marzo, e talvolta oltre. Gli ambienti prevalenti sono le foreste decidue e, a seguire, da praterie di montagna, pascoli ed arbusteti. Nel fondovalle, oltre a numerosi piccoli centri abitati, sono ancora presenti aree coltivate e incolti. Al di sotto dei 1300 metri di altitudine, cerri e roverelle (Quercus cerris e Q. pubescens) dominano i boschi, mentre a quote superiori è il faggio (Fagus sylvatica) a dominare incontrastato. Tra l’altro, il Parco ospita alcune delle faggete più antiche d’Europa, dove gli alberi crescono, si riproducono e muoiono di “morte naturale”, seguendo i cicli naturali che favoriscono l’insediamento e la vita di una notevole quantità di specie animali e vegetali. Ma i boschi sono ricchi anche di aceri (Acer spp.), piante da frutta selvatiche (come, ad esempio, Pyrus pyraster, Malus sylvestris, Prunus spp. e Sorbus spp.) e anche varietà domestiche di mele, pere, susine e ciliegie disperse tra i coltivi e gli incolti.
Dopo un temporale primaverile, le nuvole si diradano lasciando intravedere i boschi e le cime ancora innevate di una valle del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.
Questo mosaico ambientale, prodotto di millenni di alterne vicende umane, presenta una comunità arbustiva molto varia, ricca anche di piante da frutta tra cui ranno, lampone, viburno, corniolo, per citarne alcune. La fascia montana e quella submontana sono punteggiate da verdeggianti praterie mesofile e seminaturali (Festuco-Brometea), mentre oltre i 1800 metri di altitudine si aprono estese praterie primarie che ospitano una ricca varietà di piante erbacee di diverse comunità (Seslerietum apenninae, Festuco-Trifolietum thalii). I suoli profondi e ricchi di nitrati, in prossimità degli stazzi e dei percorsi preferenziali delle greggi o di corsi d’acqua, sono colonizzati da diverse piante erbacee come il cerfoglio, l’orapo e l’ortica (Chaerophyllum spp., Chenopodium spp., Rumex spp., e Urtica spp.).
Alcune delle specie più note e preziose della biodiversità del PNALM: Picchio dalmatino (Picoides leucotos lilfordi); Camoscio appenninico (Rupicapra pyrenaica ornata); Lupo (Canis lupus); Cerambice del faggio (Rosalia alpina); Scarpetta di Venere (Cypripedium calceolus); Faggio (Fagus sylvatica); Vipera dell’Orsini (Vipera ursinii); Gaggiolo marsicano (Iris marsica); Coturnice (Alectoris graeca); Salamandra pezzata (Salamandra salamandra gigliolii).
Le valli, le foreste gli ambienti rocciosi sono popolati da una grande varietà di vertebrati e invertebrati, con numerose specie endemiche o molto rare altrove. Il Parco protegge gran parte delle specie tipiche degli ecosistemi montani e, in particolare, dell’Appennino. Tra i mammiferi, spicca la comunità di ungulati selvatici, con cervi (Cervus elaphus), caprioli (Capreolus capreolus), cinghiali (Sus scrofa) ed esclusivi camosci appenninici (Rupicapra pyrenaica ornata): potenziali prede non solo per l’orso, ma anche per il lupo, qui presente con una popolazione ad alta densità. Ma non ci sono solo erbivori selvatici. Dai primi mesi estivi fino all’inizio dell’autunno, gli animali domestici (pecore, capre, mucche e cavalli) vengono ancora portati al pascolo tra queste montagne, spesso ad alte densità e, nel caso di bovini ed equini, allo stato semibrado. In tutta l’area è documentata la presenza di cani da guardiania associati al bestiame, ma anche di cani vaganti e inselvatichiti.
La roccaforte degli orsi
Entra nel cuore dell’Appennino, percorrendo le valli segnate dagli uomini fino alle cime più alte, da cui lo sguardo spazia sulle grandi foreste e verso nuovi territori.
A partire dal Neolitico, il paesaggio dell’Appennino si è sviluppato di pari passo con le attività umane, in particolare la pastorizia, vera forza plasmatrice del territorio. Le tracce di tutto ciò sono ancora evidenti nei coltivi abbandonati e nei resti di vecchi stazzi, rinvenibili anche in aree remote, nonché nella rete di sentieri e strade che sono presenti quasi ovunque. Oggi, nel Parco, la densità abitativa è di circa 15 persone/km2, mentre la densità di strade asfaltate al suo interno è pari a circa 39 km/100 km2. L’allevamento del bestiame, le attività di taglio forestale e il turismo sono importanti risorse economiche, mentre l’agricoltura ormai è limitata principalmente alle zone di fondovalle, nei pressi dei centri abitati. Lo sfruttamento dei boschi è svolto con l’autorizzazione del Parco, tranne in alcune aree particolarmente delicate prese in affitto dall’Ente stesso per prevenire il deterioramento dell’habitat. L’attività venatoria (cinghiale, lepre e avifauna) è consentita esclusivamente nell’Area contigua del Parco, tra i mesi di ottobre e gennaio.
Nell’ambito del PNALM sono praticate molte attività tradizionali di sfruttamento del territorio, come quelle di taglio boschivo, con l’esbosco ancora svolto con muli e cavalli.
Per la complessità storica, culturale ed ecologica del territorio in questione, le relazioni che legano l’orso, l’Appennino e l’uomo possono essere davvero innumerevoli e sorprendenti. Più che in molte altre regioni del Pianeta, la vita degli orsi di queste queste montagne da migliaia di anni è intrecciata a ciò che li circonda, da un filo d’erba o una formica fino ad arrivare all’uomo e alle sue attività. La relazione con la nostra specie, in particolare, viaggia da sempre su due polarità, di attrazione o repulsione, variando costantemente nel tempo a seconda delle culture prevalenti.